martedì 5 febbraio 2013

 
rinuncia ai giochetti
vestiti con un sacco
inasprisciti
fatti una legge contro di me
fatti una casa con me
la casa dei pegni
nel cellulare della polizia
al pronto soccorso
sui tetti
tra i rifiuti caduti dal cielo
nudi, con le bocche
con i buchi
spalancati
ad aspettare il vento rabbioso
che ci pulisca
le budella
sdraiati accanto a me in una betoniera
due aborti trovati in un container
due carogne abbracciate in un portabagagli
non muoverti
qualcosa in noi
ancora respira
sotto le tonnellate di cemento
schifo d’amore vorrei ricominciarlo da capo
che io e te abbiamo mangiato tutto
bevuto, fottuto tutto
quello che si poteva uno dall’altro
insieme abbiamo spremuto pustole
pidocchi
che ne sanno questi
che gli diciamo noi a questi
di noi
che possiamo dire ancora
sotto il soffitto illuminato di urla
ci sputiamo addosso
con le bocche secche di odio.






amore con l’ovatta nelle narici
amore con i soldi in petto
voglio scrivere di te
come scriverebbe un cane
con la faccia nel lenzuolo
sniffo riga dopo riga
il tuo odore
in ginocchio
ti vedo che vai
con il sole nello stomaco
presa tra le auto
in mezzo alla strada
come in mezzo all’inferno
senti la mia bocca
che ti soffoca







dico amore in una lingua
imparata dalle interdizioni
scrivo amore con un nodo in gola
una femmina alta
mi spia
mi colpisce le falangi
con una riga di ferro
amore cacciato
di casa
tu conosci l’amore
solo come una fuga da casa
ansimi sotto di me
come alla fine della fuga
e alla fine non ti aspetta
niente
nessuno neppure io
sussurri amore con un nodo in gola
ascolti tremando
casa tua
come bussa forte alla porta
il loro amore minaccia
ci tireranno fuori per i capelli
nudi nella tromba delle scale
parleranno con noi nella loro lingua
la nostra lingua d’amore






sapevo di essere da qualche parte su una mappa al di sopra
di tutti i luoghi e quando di mattina sei rimasta
da me, l’ho sentito quasi fisicamente.
eravamo stesi su due letti
in una camera d’albergo fredda
ed eravamo nell’ultima camera del mondo.
dietro la testa oltre la parete non c’era più niente:
freddo e non-chiaro. sotto la coperta le nostre dita
dei piedi tese
e più lontano i giorni venuti e andati,
con tutta la loro luce a fluttuarci sopra. 








d’inverno la terra ha raggiunto i margini del sistema
e n’è uscita. l’ho sentito chiaramente quando se n’è andata. la luna
si è scossa e si è intorbidita, come iniettata
con un liquido di contrasto. ma molto meno
drammatico, quasi per niente,
come tutto ciò che è stato ed è passato.







c’è un altro sole adesso, con un’altra luce,
che riscalda nello stesso modo.
stessa funzione, altra sorgente.
lo capisci bene quando ti si da il posto
accanto all’ala: nuvole si estendono oltre il vetro
di protezione come un campo di neve, di cui vedi
solo un pezzo, quanto ti permette l’ala.
nemmeno prima c’erano impronte di passi nel campo,
non ci sono neanche adesso.
se apri la porta d’emergenza,
ti congeli, come anche prima, solo che non lo vedi più,
perché non ci sono più emergenze.

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