Il contratto sociale è buono per natura?
Un imprevisto accaduto
esattamente quando non doveva
e scopri che la demenza che
a volte ti domina
è una ramificazione alle tue
spalle,
in cui frughi con fatica tra
i geni e con forza.
Cosa non ti lascia più
vivere?
Non esiste risposta.
Vedi solo come ti degradi
giorno dopo giorno,
come la smania si fa sempre
più urgente
per-un-nonnulla: accidente
storico,
una sgradevole sensazione di
strangolamento
quando l’ascensore di ferma
al tuo piano,
il cappotto quasi rotto e la
primavera è lontana,
il battito che comincia a
farsi debole
(allora devi premere con
decisione in un punto preciso del polso
- pare che così dicesse la
dottoressa sul treno dei pendolari
in cui ti sentivi sempre
male),
i denti che si consumano, la
speranza infantile
che solo la letteratura
romena ti può salvare
oppure un viaggio al di
sopra dell’oceano.
Senza invidiarli, osservi
affascinata gli uomini equilibrati:
ti sorprendi all’infinito di
quanto possano sorridere (che sia un sorriso?),
di quanti consigli possano
dare, ricette di resistenza,
con quanta civiltà uniscano
il giorno con la notte,
una civiltà allucinante.
No, non li invidi,
solo non credi più tanto che
siano reali.
Sebbene la realtà la facciano
loro,
non il tuo ghigno stanco,
nauseato,
dietro questi occhiali
attraverso cui hai visto
troppe cose,
che non ti servono più.
Alienazione, di certo.
Ma alienazione di chi?
Istruzioni
Ho scoperto per vie tortuose
che nel 1970 sarebbe nato
il più sanguinario dittatore
al mondo.
Se le cose stanno così
ora, mentre lui ha 12 anni,
io ho l’età di Raskolnikov.
Via d’accesso
a Lucian Raicu
Non esiste episodio della
vita
senza espressione.
L’iniziazione nel tellurico
denso,
nella risata prossima alla
morte,
nelle acque limpide che ci
purificano
l’anima più tardi.
L’iniziazione
nell’esperimento sociale,
prenderne atto nel passaggio
dalla parte del vero
e del debole.
L’iniziazione nel verbo
incandescente
e lui, il verbo,
purificandoci e ancora più tardi
il passare degli anni,
l’incapacità e la balbuzie,
il semplice obbligo di
essere.
Nulla per caso, Dio, nelle
tue dispense
fino a sentirlo nell’aria in
cui pulsiamo condensandola.
Nulla senza espressione.
Il segno
Qui esiste un modo di essere
in minoranza
anche nel momento
in cui vivi nella più nera
maggioranza.
Questo dipende dal modo in
cui intendi
passare i tuoi giorni specie
in gioventù.
Per esempio, puoi cominciare
un nuovo giorno
intonando piano
l’Internazionale
oppure una delle canzoncine
della tua misera infanzia.
Stessa cosa: non la finirai
mai
ad una tavola decente
in pieno periodo di fame
popolare.
Questo forse appariva
complicato ad alcuni.
Se ti capita di essere anche
poeta
allora le cose si
semplificano incredibilmente.
Non hai ancora detto addio
per bene
alla gioia del poema caldo
che lui già ti mette fuori
dalla realtà
che ami così tanto,
di cui scrivi,
alla cui guarigione vuoi
partecipare,
ma che non sopporti più
così come ti è cacciata in
gola.
Quanto a me,
rappresentata dalla
maggioranza
nella mia patria di
minoranza,
con questa mano che trema
quando mi porto un pezzo di
pane alla bocca.
non ho molto altro da dire.
Adesso a Francoforte è
inverno.
Inverno è anche qui
in Siberi è inverno.
Da lì, dall’alto,
Rolf Bossert mi fa segno di
non tacere,
di continuare
e io gli rispondo con il mio
cervello informe
su tutti e tre i mondi allo
stesso tempo.
Il muro
Io non ti giudico
e solo ti sembra
che le catene che porti
siano state chiuse da me
con le notti in cui ci siamo
amati.
Non è mio il cedro del
Libano
sotto cui stai e piangi.
E il gregge di capre della
tua mente
non è stato pascolato da me,
non io ho alzato di nuovo il
muro
dopo che era crollato.
E non ti giudico.
Sei libero e identico a me
un giorno e qui,
sotto il terreno verso cui
la vite
in autunno si ripiega in
schegge,
demonizzata.
Poema d’amore
A volte mi guardo allo
specchio
perché ci sia qualcun altro
in questa casa
che odio da così tanto tempo
che non posso più vivere
senza di lei.
La coscienza di sé in
definitiva è
una condizione estremamente
comoda – un sonno pesante.
Non può che assomigliare ai
ricordi
del mio liquido amniotico
che tempo fa nominavo in
un’arte poetica.
oppure alla morte
che ha rotto lo specchio
su cui scrivevo questo poema
da così tanto tempo
che ora non può più vivere
senza di me…
Lotta con l’utopia
In lotta con l’utopia ai
margini della notte.
E come riproduci sottoterra
la vita della grande
letteratura?
Una lotta persa.
Il sapore della stupidità è
lo stesso
in tutte le lingue della
terra.
E se ora mi toccassi piano
gli occhi
non sentiresti che il freddo
del metallo
attraverso cui guarderò da
adesso alla vita.
Qui, dove la nostra
giovinezza
continua ad essere il
ricordo dei padri
della loro giovinezza.
Avevamo da molto i capelli
bianchi
quando loro ci infilavano di
nascosto sotto il cuscino
la fortuna che tarda a
sorriderci.
In lotta ai margini della
notte.
La nostra giovinezza –
straccio –
che da lustro
alle armi preparate sempre
per noi
Metà in metà
Ho sempre avuto paura di te.
Sempre ti ho amato da
lontano
così come oggi e ancora più
lontano
a Parigi che tu non hai
visto mai
il ricordo di te passa di
insonnia
in insonnia.
Sempre ho temuto che un
giorno avresti intuito
che non sono fatta come gli
altri, che mi manca qualcosa
e la malattia mi lavora in
silenzio
mentre passo di libro in
libro.
Oggi posso dire di sapere:
niente è più difficile
che uccidere le proprie
ombre per metà.
Niente porta la perdita di
sé
tanto vicino.
Ho sempre avuto paura di te
e adesso lo vedo come
trasmetto agli altri la stessa paura nelle ossa.
Si dice che ti assomigli
e non me ne libererò.
Ovunque cercassi di
nascondermi
la mezzanotte ti guida
e cominciamo a passeggiare
zitte e di traverso
per Parigi che tu non hai
visto mai.
Metà in metà.
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